A passeggio per il Vomero
Villa Floridiana, Castel Sant'Elmo, Certosa di San Martino

La collina del Vomero è forse il luogo urbano che meglio di ogni altro unisce nei suoi monumenti valenze architettoniche e paesaggistiche. Sull'emergenza estrema, il Forte Belvedere e l'adiacente Certosa, costituiscono un punto di partenza eccezionale per la conoscenza della città. Percorrendo a piedi le strade in piacevole discesa dall'alto dell'ultima rampa della scalinata che sovrasta via Scarlatti, è possibile avere una lettura dell'impianto urbanistico nato a cavallo degli ultimi due secoli. Lungo il percorso (piazzetta Fuga, via Cimarosa) si evidenziano gradevoli esempi dell'architettura di inizio secolo, tra cui emergono, per la ricchezza dell'ornato, le palazzine di Adolfo Avena. Procedendo per via Cimarosa si costeggia il muro di recinzione della Villa Floridiana, la cui prima parte, con accesso dal vicoletto Cimarosa, è pertinenza di Villa Lucia. Dai belvedere e dalle terrazze delle due ville si completa, a distanza ravvicinata, la lettura della zona di Chiaia, dall'intervento di Lamont Young all'edilizia liberty delle strade sottostanti. Procedendo oltre via Cimarosa, per via Belvedere, via Santo Stefano e corso Europa, si percorre il crinale della collina del Vomero fino al punto di congiunzione con Posillipo. Era la strada di collegamento delle innumerevoli splendide dimore sorte quando la collina era un'amena località di villeggiatura. La loro sequenza è ancora individuabile, anche se molte e negative sono le trasformazioni e anche se sono quasi scomparsi i giardini, sostituiti da una massiccia edificazione.


Villa Floridiana e Museo Duca di Martina

La Floridiana è un complesso formato da un grande parco e da una villa che ospita il Museo Nazionale delle Ceramiche Duca di Martina. Sorge al limite sud della collina del Vomero ed offre un magnifico panorama del golfo di Napoli. Il complesso fu voluto nel 1816 da Ferdinando I di Borbone quale residenza di villeggiatura per la moglie morganatica Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia. L'architetto Antonio Niccolini lavorò alla ristrutturazione delle costruzioni preesistenti e alla progettazione dei giardini, che furono arricchiti con piante ed essenze da Friedrich Dehnhardt, direttore dell'Orto Botanico di Napoli. I lavori si conclusero nel 1819. A quella data il complesso comprendeva due ville (Villa Lucia e Villa Floridia), un teatrino all'aperto detto "della Verzura", un tempietto circolare, finte rovine e serre, tutto rigorosamente in stile neoclassico. Alla morte della coppia regale, il complesso fu ereditato dai figli del primo matrimonio della duchessa.Villa Lucia e parte del parco furono poi venduti a privati. La Floridiana e il resto del parco furono acquistati nel 1919 dallo Stato, che vi espose la collezione di ceramiche ricevuta in donazione da Maria Spinelli di Scalea, che l'aveva ereditata dallo zio Placido di Sangro, duca di Martina, da cui il museo prende il nome. La collezione, di quasi seimila pezzi, raccoglie porcellane cinesi, porcellane di Meissen, ceramiche del '400 e '500, ventagli, tabacchiere, portagioie.


Castel Sant'Elmo

Il castello vede la sua origine nel 1275, durante il regno di Carlo I d'Angiò. In questa fase doveva avere la struttura di un palatium medievale. Roberto d'Angiò lo ampliò nel 1329, affidando l'incarico a Francesco di Vivo e Tino da Camaino. Il palatium, chiamato Belforte, era di forma quadrata, fortificato con mura e torri sul lato frontale. Nel corso della ricostruzione venne modificato con opere difensive, tanto da essere chiamato castrum Sancti Erasmi, probabilmente per la presenza di una cappella dedicata a Sant'Erasmo. La ricostruzione cinquecentesca, voluta da Carlo V e diretta da Don Pedro de Toledo, fu eseguita secondo il progetto dell'architetto Pedro Luis Escrivà di Valenza. Tra il 1538 ed il 1546, il castello (chiamato Sant'Ermo o Sant'Elmo forse dall'originario Sant'Erasmo) trovò la sua attuale configurazione. La pianta stellare a sei punte ben si addice al luogo e alla funzione strategico-difensiva. Lavori di riedificazione furono realizzati nel 1599 da Domenico Fontana (nel 1587 un fulmine aveva colpito il deposito di munizioni, distruggendo la palazzina del castellano, gli alloggi militari e la chiesa). Comunque, l'originaria struttura non è mai stata alterata né da questo né dai successivi restauri. È stato demanio militare fino al 1976, anno in cui ha avuto inizio l'ultimo restauro, condotto dal Provveditorato alle Opere Pubbliche con l'intento di restituirlo alla città come sede di attività culturali. È stato realizzato un auditorium per settecento persone e sono stati ricavati molti locali nel piazzale d'armi e nel livello sottostante.


Certosa di San Martino

Della primitiva soluzione architettonica della fabbrica, voluta da Carlo duca di Calabria accanto al castello di Belforte (1325), rimangono pochissimi elementi: sono riconoscibili alcune aperture con archetti in stile catalano che si trovano nell'ex refettorio, usate probabilmente come passavivande, venute alla luce in un recente restauro. Gli architetti che iniziarono la costruzione della Certosa furono i medesimi che lavoravano negli stessi anni al castello: Tino di Camaino e Francesco di Vivo, cui successero nel tempo Attanasio Primario e Giovanni de Bocza. La Certosa fu inaugurata nel 1368, sotto il regno della regina Giovanna I, ma i certosini avevano preso possesso del monastero già dal 1337. Il complesso fu dedicato a San Martino, vescovo di Tours, probabilmente per la presenza nel luogo di una antica cappella preesistente a lui dedicata. Verso la seconda metà del secolo XVI, sotto la spinta della Controriforma, la Certosa fu modificata secondo criteri più moderni e grandiosi. Il primo artefice di gran parte delle trasformazioni fu Giovanni Antonio Dosio che lavorò anche al chiostro. Diviso in quindici campate da colonne di ordine dorico-toscano, il chiostro fu attribuito in passato all'architetto bergamasco Cosimo Fanzago, che intervenne invece, quale direttore dei lavori, solo nel 1623. Le aggiunte del Fanzago danno al chiostro l'aspetto attuale di un'opera eminentemente barocca. Si devono a lui l'aggiunta di lesene sulle colonne e il piccolo cimitero ornato da teschi. Sono ascrivibili a lui anche cinque dei sei medaglioni che raffigurano santi, posti sulle porte angolari del portico (il San Gennaro è un'opera giovanile di Domenico Antonio Vaccaro) e le otto statue poste sulla balaustra. Il chiostro piccolo, detto dei Procuratori, è anch'esso opera di Dosio. Al centro fu posto, nel 1605, un pluteale, opera di Felice de Felice. Sotto il priorato di Giovan Battista Pisanti (1640 ca.) cominciò la decorazione dell'appartamento del priore, detto Quarto. La gran parte del lavoro fu eseguita da Domenico Gargiulo, che l'ornò con brani di pittura paesaggista. Il pavimento del Quarto, opera di Giuseppe Massa (1741), fu decorato con motivi di nastri, volute e decoro "a graticcio". Il monastero, dopo alterne vicissitudini, fu soppresso dai francesi nel 1806 ed i certosini lo dovettero abbandonare. Le opere custodite furono acquisite dallo Stato.

 


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