L'obiettivo della Facoltà è quello di formare un tecnico
in grado di armonizzare i differenziati saperi, in vista della costituzione teorica ed
operativa di manufatti architettonici, nel loro modo di essere ed apparire nella città e
nel territorio, adoperandosi per una più avanzata condizione abitativa al cospetto della
natura ed in rapporto alle continue e variabili sollecitazioni della società
contemporanea.
Ne deriva perciò un articolato itinerario di studi (quasi sempre da proseguire anche dopo
la laurea) rivolto ad educare gradualmente il futuro architetto nel difficile passaggio
fra le necessità, le tecniche della "cosa", sia essa un'abitazione, un teatro,
un aeroporto, e la rappresentatività come ratio significante della forma architettonica:
ciò che porta a definire l'architetto come "muratore che sa di latino".
E' che, fra i molti saperi tecnici necessari alla costruzione di un manufatto e il suo
porsi come architettura, c'è di mezzo un sistema di coerenze, non solo tecniche, ma di
qualificazione estetica propria dell'architettura, derivato dalla riflessione sulle
architetture certe della modernità e della storia, in cui tutti insieme i vari saperi
diventano valori e significati unici dell'architettura, in grado di suscitare emozioni,
domande e, in pari tempo, risposte che in quanto tali le architetture hanno sempre saputo
dare.
Tale è il difficile compito che la Facoltà si dà nei vari livelli di maturazione,
ponendosi non come educazione per qualsivoglia immagine, ma per la forma architettonica
dotata di senso e significato, affinchè l'importanza dell'apprendimento direzionato ad un
sapere, che è antico e contemporaneo, sia capace di leggere e di intervenire
nell'esistente e per il nuovo.
Un nuovo architettonico, e con esso tutti i complessi passaggi tecnico-normativi d'oggi,
attraverso cui (e non per cui) intervenire, soprattutto nel territorio extra-moenia
della metropoli contemporanea, con i suoi discontinua urbani, cioè laddove le grandi e
piccole architetture si posano nuovamente sul suolo-natura, come è avvenuto con i templi
di età classica o "quando le cattedrali erano bianche" come - ancora più oggi
- si costituiscono come edifici in acciaio e cristallo per la collettività.
Dalla consapevolezza di una tale singolare responsabilità muove il curriculum
studiorum della Facoltà che in sintesi è riducibile alle antiche categorie
vitruviane dell'architettura: "venustas, firmitas, utilitas" assunte
quale emblema adeguato a manufatti per il vivere civile d'oggi.
Ciò, malgrado le opposte tensioni e gli interessi contrapposti che spesso coinvolgono le
dottrine e le tecniche organizzate, come accade in ogni branca del sapere e anche nella
Facoltà di Architettura; quando, cioè, il processo edilizio si riduce a mera merce,
malgrado gli indiscussi livelli raggiunti da tante architetture della modernità. Infatti,
essendo la Facoltà impegnata come altre nel campo edilizio, essa vive anche di una
condizione di frontiera, dovendo ricucire le puntuali identità dei suoi saperi, impegnati
come sono nella consulenza o nell'elaborazione di risposte sulla ratio urbana e
architettonica.
Soprattutto a Napoli, con i suoi antichi e recenti appuntamenti storici sia nel rapporto
col bacino del Mediterraneo, ma anche col suo entroterra per i quali ad un tempo servono
scienza e distanza storica, concretezza e astrazione, tali che, come è avvenuto nei suoi
momenti eroici della sua costruzione, possa rinnovare il senso delle sue antiche relazioni
e delle Antiche sapienze con culture e identità diverse dell'Europa e dell'Oriente. Tali
sono le sfide ed i compiti che deve darsi la Facoltà tutta (docenti ed allievi) in nome
di un futuro per un antico mestiere.